Genere, orientamento, Lgbtqi: facciamo un po’ di chiarezza?

Con la celebrazione, nei giorni scorsi ad Aversa, del primo “matrimonio trans” (giuro, qualcuno ha titolato così) se ne sono sentite, anzi lette di tutti i colori.

Ormai non parliamo nemmeno più. Siamo tutti lì, davanti alla tastiera, pronti a dire la nostra su tutto. Anche se l’argomento è tra i più ostici, anche se corriamo il rischio di parlare a vanvera: l’importante è parlare, anzi scrivere.

Da “…purché se ne parli” a “purché si parli” è stato un attimo. Vi, e mi, risparmio la ridda delle vere e proprie cazzate lette sui social ed anche sulla cara e vecchia carta stampata per non alimentare ulteriori polemiche e, soprattutto, perché non mi va…

Dicevo dei giorni scorsi, in concomitanza con il primo matrimonio celebrato in Italia di una transessuale che ha ottenuto l’attribuzione del sesso femminile e il riconoscimento del nuovo status senza passare per l’intervento chirurgico, il linguaggio dei media ha dato prova, in alcuni casi di atteggiamenti discriminatori nell’affrontare la notizia,

Si è assistititi, ad esempio, in alcuni casi, a rappresentazioni stereotipate della transessualità e lievi accenni ad una  – fuori logo – omosessualità.

Diverse sono state le distorsioni: a partire dal genere. Alcuni hanno fatto cadere la scelta sul genere maschile: “il trans”. Errore grossolano visto che in questo particolare caso oltre alla manifestazione di caratteri fisici, abbigliamento e atteggiamenti femminili c’è un “documento d’identità”, un nome e cognome femminili scanditi anche da chi ha celebrato il matrimonio nell’ufficialità del rito civile.

Altri pregiudizi sono emersi, in particolare dai commenti dei lettori delle pagine social dei media che proponevano la notizia, il denominatore comune è l’idea che le identità diverse da quella eterosessuale non debbano avere visibilità pubblica ma restare relegate nella sfera privata dei singoli. Qualsiasi atto al di fuori di una sfera privata viene percepito da alcuni come provocazione e genera luoghi comuni.

Una cosa che penso possa essere utile è quella di provare a fare un po’ di chiarezza ad uso e consumo di quanti vogliano innanzitutto pensare e poi scrivere (… e commentare) in modo un po’ più consapevole questi argomenti.

Partiamo dalla sigla Lgbt, acronimo inglese composto dalle iniziali delle parole Lesbica, Gay, Bisessuale, Transessuale/Transgender.

Una sigla perlopiù superata per quello che vuole essere una sorta di “termine ombrello” per ricomprendere istanze e problematiche delle varie sfaccettature dell’identità di genere.

Una nuova formulazione del termine parla oggi di Lgbtqi e ricomprende oltre alle parole di prima anche Queer e Intersessuale.

«Il termine lesbica (e lesbismo) proviene dall’isola di Lesbo, dove era anticamente molto diffusa l’omosessualità femminile, testimoniata dai versi della poetessa greca Saffo vissuta tra il VII e il VI secolo a.C.  (da cui anche le parole saffica e saffismo). Come aggettivo, lesbica ha una storia più antica nelle lingue europee, se ne trovano testimonianze già in età moderna, mentre come sostantivo si diffonde nel Novecento. A partire dagli anni ’70, mentre nasce e cresce il movimento gay, le donne omosessuali cercano anche nel linguaggio l’affermazione della propria identità.

In Italia, il lesbismo come istanza politica si lega fin dal principio al femminismo, criticando la società patriarcale che nega ogni forma di sessualità altra rispetto a quella eterosessuale e riproduttiva. La critica si estende anche alla misoginia di molte espressioni del movimento omosessuale maschile»[1].

«Gay è un aggettivo inglese che significa propriamente “gaio, allegro”, ed è usato in italiano sia come sostantivo sia come aggettivo per indicare gli uomini (più raramente le donne) omosessuali. A differenza di omosessuale, che è un termine appartenente al linguaggio medico-scientifico, gay si è affermato nel linguaggio a partire dall’attivismo dei movimenti per i diritti. In questo senso, è l’aggettivo  più adeguato a definire identità sociali ed espressioni culturali: letteratura gay, cinema gay, locale gay, manifestazione gay ecc. […] in Italia, moltissime organizzazioni e associazioni che operano in difesa dei diritti delle persone omosessuali contengono la parola gay nel nome. L’acquisizione di questa denominazione ha rappresentato il superamento di un lessico dispregiativo ed omofobo».[2]

Bisessuale, secondo i glossari stilati dalle associazioni LGBT, è la persona che sceglie di vivere relazioni affettive, di intimità e sessuali con partner sia del proprio che dell’altro sesso biologico. La bisessualità è un orientamento sessuale, che «non coinvolge l’identità di genere; la persona vive in modo soddisfacente la propria appartenenza al genere maschile o femminile e non ha alcuna intenzione di intervenire per modificare i propri caratteri sessuali».[3]

«Il termine transessuale viene coniato nel 1949 dal dottor David Cauldwell, ma diventa di uso comune dopo la pubblicazione del libro The transsexual phenomenon (Il fenomeno transessuale) di Harry Benjamin, edito nel 1966.

«Le persone transessuali sentono di appartenere al genere opposto a quello a cui le assegnerebbero i loro caratteri sessuali (vedi Identità di genere) e in molti casi decidono di modificare la conformazione dei propri genitali attraverso l’iter di riassegnazione chirurgica del sesso. In Italia questo iter è regolato dalla legge 164 che esiste dal 1982. Per segnalare la non coincidenza tra sesso biologico e identità di genere si parla di disforia di genere, diagnosticata dal DSM IV[1] come “disturbo dell’identità di genere” (DIG), una classificazione respinta oggi da molti esponenti del movimento transessuale che si battono per la depatologizzazione della transessualità. Female to Male (FtM) sono le donne biologiche che transitano verso l’identità maschile, Male to Female (MtF) gli uomini che compiono il percorso opposto, verso l’identità femminile. Ma non tutte le persone che vivono una discordanza tra sesso e genere sono interessate a effettuare la transizione sottoponendosi ad interventi chirurgici per modificare il proprio corpo. Si parla infatti di transgender per comprendere sotto un più ampio termine tutte quelle persone che non riescono a riconoscersi o ad identificarsi nei modelli di identità e ruolo di genere attribuiti al proprio sesso»[4].

«Queer è un termine inglese che significa strano, insolito. Veniva usato in passato in senso spregiativo nei confronti degli omosessuali, ma è stato ripreso in tempi recenti in chiave politico/culturale e rovesciato in positivo da una parte del movimento LGBT per indicare tutte le sfaccettature dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale, rifiutando al tempo stesso le categorie più rigidamente fissate ancora presenti nel termine LGBT e rivendicandone il superamento».[5]

Intersessuale è infine la persona che nasce con i genitali e/o i caratteri sessuali secondari non definibili come esclusivamente maschili o femminili.

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[1]  [2] [4] Fonte: Parlare Civile a cura di Redattore Sociale

[3] Fonte: Glossario dell’Associazione Libellula

[5] Fonte: Comune di Torino, Pari Opportunità e Politiche di Genere, Glossario LGBT

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