Ventitré anni fa venne quella maledetta mattina di marzo, quei colpi, quelle pallottole, le ventimila persone ed i lenzuoli bianchi. L’ultimo addio ad un martire della nostra terra.
Caro Don Peppe,
Diverse volte ci siamo visti, anche se solo di sfuggita, e forse, in quelle rare volte, i nostri sguardi nemmeno si saranno incrociati. Ma tu mi hai insegnato tanto. Era il 1992, muovevo i miei primi passi in una redazione, ed avevo poco più di sedici anni.
In quella stanza tra le cartelline ed il Macintosh, tra le foto e le cartucce estasiato leggevo i tuoi fax.
Mi immergevo in quella lettura. La carta termica conteneva pagine scritte a macchina e parole vergate col fuoco. Da quelle parole traevo il senso di che cos’era quel lungo elenco di morti ammazzati ogni giorno. Capivo cosa significasse quel bollettino di guerra in tempi che credevo fossero di pace. Capivo che i tempi non erano affatto di pace.
Grazie a te ho capito che «dove è assente lo Stato fiorisce la camorra, dove ci sono mancanza di regole, di diritto, s’affermano il non diritto e la sopraffazione».
Sei stato tu ad aver insegnato a tutti noi che «bisogna risalire alle cause del problema camorra per avere la possibilità di sanarne la radice che è marcia».
Mi appassionava anche il tuo modo di intendere la Chiesa: impegnata nel sociale, Chiesa dei poveri, degli ultimi, degli emarginati e la definizione che davi della Parola di Dio come una “spada a doppio taglio” che in nome del “lieto annuncio” doveva fendere la gente per metterla in crisi.
Leggevo tutto questo ed ero orgoglioso di stare nello stesso posto e di poter scrivere, anche solo poche righe, sulle stesse pagine che pubblicavano i tuoi pensieri.
Era il 1994, quel mensile che ci pubblicava entrambi stava per diventare settimanale ed io per il primo numero avevo preparato un’inchiesta sui giovani rincitrulliti a guardare la tv. Quell’inchiesta non fu mai pubblicata. Tutta l’impaginazione del nuovo settimanale saltò, cambiammo tutto, poiché nel frattempo era venuta quella maledetta mattina di marzo, quei colpi, quelle pallottole, le ventimila persone ed i lenzuoli bianchi. L’ultimo addio ad un martire della nostra terra.
Da quel giorno, dal giorno del tuo funerale ho imparato a conoscerti meglio. A quelle esequie qualcuno disse: «Non sappiamo se essere addolorati per la morte di un uomo o essere contenti perché è rinato un popolo». Lo scossone era stato dato, alla radice marcia si stavano dando le prime cure. Da quel giorno in tanti hanno imparato a conoscerti meglio. Ne è passato di tempo, una vita, ma quanto è ancora attuale il tuo messaggio e quanti non ti hanno dimenticato e non ti dimenticheranno. E quanti altri, tantissimi, hanno imparato a conoscerti. Io non ti dimenticherò, nessuno ti dimenticherà… «intanto il sole è già alto nel cielo. È marzo, la primavera sta per arrivare».
Michele Docimo